Palazzo Ducale
Palazzo Ducale non è un singolo edificio ma la somma di una complessa serie di fabbricati realizzati soprattutto nei primi tre secoli gonzagheschi e costituenti oggi un insieme monumentale unico al mondo. I palazzi più antichi sorgevano già alla fine del XIII secolo su piazza San Pietro, oggi piazza Sordello, nella zona più alta (e salubre) dell’antica città romana e medievale. Da tutt’altra parte, a difesa dell’ingresso in città dal ponte di San Giorgio, venne edificato dall’architetto Bartolino da Novara, alla fine del XIV secolo, il Castello. Nella seconda metà del XV secolo il maniero fu collegato alla Corte Vecchia attraverso una “via coperta”. Il tracciato di questa, forse voltata o porticata, dovette coincidere in buona misura con il cosiddetto Listone dei Marmi o “Vòlto Oscuro”, attraverso il quale si giungeva dal ponte di San Giorgio sino al cuore della cittadella gonzaghesca e quindi a piazza Sordello. Il percorso fu chiuso poco dopo la metà del XVI secolo, e fu privilegiato un secondo tracciato.
Attorno al 1480 sorse il primo edificio di compiuto stile rinascimentale, la Domus Nova: terzo vertice di un triangolo che delimita l’area occupata dagli edifici della famiglia regnante. Non vi fu Gonzaga immune alla “febbre del mattone”: Federico II fece costruire da Giulio Romano la palazzina “della Paleologa” (demolita nel 1899), l’Appartamento di Troia e la Rustica. L’Appartamento di Troia ruota attorno alla monumentale e omonima sala, affrescata con temi omerici da Giulio Romano e collaboratori, e include la sontuosa Galleria dei Mesi (o dei Marmi), al contempo loggia verso il “prato della Mostra” e antiquarium.
Fu però soprattutto il duca Guglielmo, al potere dal 1550, a trasformare il Palazzo e conferirgli l’aspetto che all’incirca esso oggi mostra. Sono suo merito la costruzione della basilica di Santa Barbara, di piazza Castello, del cortile della Cavallerizza, dell’Appartamento Grande di Castello, dell’Appartamento Verde di Corte Vecchia (col Giardino Pensile, il Cortile delle Otto Facce, la Sala dello Specchio…); egli inoltre fece realizzare una serie di passaggi, camminamenti, portici, giardini e piazze, sì da legare assieme i tanti fabbricati racchiusi in un’area vasta quanto tre contrade medievali. Alla sua morte, nel 1587, il Palazzo Ducale era un gigante dotato di un cuore (Santa Barbara) e di una testa (l’Appartamento del duca stesso).
Al duca Vincenzo I spettano la realizzazione dell’Appartamento Ducale, nella Corte Vecchia, e una serie di interventi puntuali in Corte Nuova. L’insieme era così imponente che, senza esagerazione, Giovanni da Mula nel 1615 scriveva: “Gode il signor duca per sua abitazione in Mantova un amplissimo e nobilissimo palazzo, che sarebbe bastevolmente capace per ogni gran re”. In seguito il duca Ferdinando fece realizzare la Scala Santa e ristrutturò la Domus Nova, ma il vigore dei signori di Mantova si affievolì moltissimo dopo le vicende delle vendite di parte delle collezioni e soprattutto dopo il trauma del Sacco del 1630-1631. I Gonzaga Nevers, subentrati nel 1628, s’impegnarono nella decorazione di interni e nel ripristino delle collezioni, ma non realizzarono interventi architettonici degni di nota. Gli Asburgo, preso possesso di Mantova nel 1707, si dedicarono a limitate aree del complesso: gli appartamenti della Corte Vecchia destinati a uffici e zone di rappresentanza.
Alla metà dell’Ottocento il Castello di San Giorgio venne adoperato come carcere per i Martiri di Belfiore, congiurati dei moti risorgimentali, giustiziati proprio all’alba della prima rappresentazione mantovana delRigoletto, che si tenne nel 1853 nel Teatro Sociale.
Gli interni del Palazzo Ducale sorprendono non meno degli esterni, per la loro vastità e varietà. Le decorazioni pittoriche e plastiche sono un vero manuale di storia dell’arte del Rinascimento: sale di rappresentanza sono dipinte da Pisanello, da Andrea Mantegna, da Giulio Romano. E ancora Pieter Paul Rubens e Domenico Fetti, anch’essi artefici del pristino splendore del monumento, per il quale dipinsero numerose opere, purtroppo per lo più perdute o disperse.
Numerosi ambienti del Palazzo alludono alla prassi teatrale e musicale di corte. Nel cinquecentesco Camerino di Orfeo della Rustica sono narrate le vicende del mitico cantore, affrescate anche dal Mantegna nella volta della Camera degli Sposi. Nella Grotta di Isabella d’Este due tarsie dei fratelli Mola rappresentano strumenti musicali e una terza riproduce persino il canone Prenez sur moi di Johannes Ockeghem. Per lei artisti come Marchetto Cara composero musiche. Alla fine del Cinquecento fu messo in scena il Pastor fido del ferrarese Battista Guarini e a cavallo del XVII secolo era attivo a corte anche il cremonese Claudio Monteverdi, il quale a Mantova scrisse alcuni dei suoi capolavori, come l’Orfeo (1607) e il Ballo delle Ingrate (1608).
La vita musicale sarebbe rimasta fervida per tutto il XVII secolo e anche agli inizi del XVIII, sotto gli Asburgo. Per una manciata di anni (1718-1720) Antonio Vivaldi, in volontario esilio da Venezia, portò in scena a Mantova delle opere oggi semi-dimenticate e, forse, compose proprio qui le celebri Quattro stagioni, edite solo alcuni anni più tardi.
Come è noto il Rigoletto è ambientato più per necessità che per scelta “nella città di Mantova e suoi dintorni. Epoca, il secolo XVI”. Il “Duca di Mantova” verdiano è il risultato finale di una tormentata metamorfosi che parte dal re Francesco I di Francia. Il principe dissoluto, protagonista del melodramma, si identifica solitamente con Vincenzo I Gonzaga, anche se al 1851, data della prima dell’opera, non erano ancora emerse notizie su alcune delle vicende più “piccanti” della sua inquieta vita sentimentale.
Seduzione e amore sono tematiche ricorrenti nella storia dei Gonzaga; a volte si tratta di farse, altre di commedie, più spesso di drammi. Alle donne spetta sovente il ruolo della vittima, come nel caso di Agnese Visconti, sposa a Francesco I Gonzaga, condannata per adulterio e decapitata nel 1391. Isabella di Novellara, moglie di Vincenzo II (1626-28), fu ingiustamente accusata d’averlo sedotto con arti magiche; Isabella Clara, figlia dell’imperatore Leopoldo I, fu costretta a interrompere ogni rapporto col conte Carlo Bulgarini, che pare frequentasse prima ancora di rimanere vedova di Carlo II Gonzaga Nevers, e dovette chiudersi nel convento delle Orsoline. Susanna Gonzaga, promessa sposa nel 1450 a Galeazzo Maria Sforza, venne poi rifiutata e dovette monacarsi in Santa Paola con il nome di suor Angelica (vago presagio dell’opera pucciniana).
Altrettanti furono i duchi “seduttori”, tra cui ricorderemo almeno Carlo II e Ferdinando Carlo, per tacere dei cardinali di famiglia, come Francesco ed Ercole, raramente osservanti il voto di castità. Ma è soprattutto Federico II (1519-1539), con la sua amante Isabella Boschetti, che nell’Ottocento ebbe fama di principe lussurioso.
Vincenzo I ebbe due mogli, Margherita Farnese ed Eleonora de’ Medici, e numerose amanti; fu protagonista d’una imbarazzante prova di virilità ed era noto al suo tempo per un forte amore per il gentil sesso e per un certo narcisismo, essendo da giovane ritenuto uomo affascinante. Ma occorre ricordare anche la sua committenza illuminata, lo sconfinato amore per l’arte, per Rubens, per Monteverdi. A lui si vuole riferire, seppure a posteriori, il ruolo di “Duca di Mantova” nel melodramma verdiano.
Stefano L’Occaso