Palazzo te
L’artista, nato a Roma probabilmente nel 1499 e morto a Mantova nel 1546, è uno tra i principali collaboratori di Raffaello. Quando, nell’ottobre del 1524, raggiunge la corte dei Gonzaga, Federico lo accoglie colmandolo di cortesie e di regali.
Ora conviene affidarsi alla narrazione del Vasari, che riporta, per così dire, l’atto di nascita del palazzo, destinato all'"honesto ocio", vale a dire alle raffinate occupazioni che il principe si riserva nel tempo in cui non è immerso nelle attività di governo.
Si completa in tal modo, in un'isola-giardino circondata dalle placide acque del Mincio appena fuori dalle mura urbane, il progetto di quello che è stato denominato asse privato gonzaghesco, l'itinerario che il principe traccia nel mezzo della città.
Tale percorso, distinto da eventi architettonici di assoluto pregio artistico e di manifesto rilievo emblematico, esalta la supremazia del signore e della sua famiglia agli occhi del cittadino e del forestiero.
L’edificio è costruito e decorato in un decennio, dal 1525 al 1535; si può affermare che ogni elemento che lo compone, dall’architettura agli stucchi, alle pitture, esca dalla fervida mente di Giulio. Il palazzo è ispirato a modelli classici e si sviluppa attorno a una corte quadrata. Le facciate esterne e quelle del cortile sono rese solenni dall’impiego dell’ordine unico: semipilastri all’esterno, semicolonne all’interno si estendono per i due piani della fabbrica e reggono la trabeazione dorica, con fregio a triglifi e metope. Due lati del cortile mostrano il bizzarro motivo dei triglifi cadenti, come se la struttura subisse improvvisi e inaspettati cedimenti. Il rivestimento a intonaco imita grandi conci di pietra ben squadrati e levigati, accostati a bugne rustiche. La simulazione di materiali pregiati con mezzi poveri, l’alternanza di citazioni classiche a invenzioni estrose, il contrasto fra norma e licenza sono elementi tipici del linguaggio di Giulio Romano.
Nella sequenza delle sale il visitatore vive le emozioni che Giulio gli ha riservato, in un percorso ove si alternano misura classica e soluzioni inattese, affreschi e stucchi, minute narrazioni e gigantesche scenografie.
Nella saletta del Sole e della Luna, i carri delle divinità Apollo e Diana si inseguono nel cielo, in uno scorcio ardito, a significare l’avvicendarsi del giorno e della notte e il rapido scorrere del tempo.
La loggia delle Muse dispiega figurazioni allusive alla cultura degli antichi, dai greci, agli egizi, a Virgilio, vate mantovano della poesia latina, mentre nella camera di Amore e Psiche rivivono invece i celebri miti amorosi dell’antichità, dalla favola che dà il nome all’ambiente, tratta da Apuleio, a Venere e Marte, Bacco e Arianna, Giove e Olimpiade, Aci, Galatea e Pasifae.
I successivi ambienti che si affacciano sulle peschiere sono illustrati non più con temi d’amore, ma con soggetti edificanti, o pertinenti alla gloria militare, tratti dalla storia antica. Giulio celebra l’ideale di un principe che nell’“ozio” privato trova consolazione nell’arte e nell’amore, ma che elegge a modello del comportamento pubblico la virtù degli antichi condottieri. Il rigore formale e la misura classica che presiedono alla decorazione di questi ambienti preludono, per contrasto, alla sconvolgente messinscena della camera dei Giganti, la creazione più celebre di Giulio Romano, che vede dipinto sulle pareti e sulla volta il mito dei giganti che assaltano l’Olimpo.
Palazzo Te è uno tra gli edifici più importanti e meglio conservati del Rinascimento. Riceve annualmente una media di 200.000 visitatori, che ne ammirano l’originale impostazione architettonica, le celebri sale decorate e le collezioni civiche.
Ugo Bazzotti